martedì 30 novembre 1999

Tropa de elite

Sabato sera, con Juliana, ho visto Tropa de Elite, un film brasiliano sulla truppa d'elite (ma no?) della polizia brasiliana. Sono quelli che entrano nelle favelas, per dire, e si chiamano BOPE.

Ok, non c'erano sottotitoli ed era tutto in portoghese, quindi avrò capito si e no il 50% del parlato, mentre l'altro 50% l'ho capito grazie alle spiegazioni di Juliana ed alla mia intelligenza superiore che mi permetteva di comprendere la situazione solo guardando le immagini (un po' come si fa quando si leggono i fumetti).

Il film mi ha colpito parecchio per la realtà delle situazioni ricreate. Le gesta di Capitão Nascimento e della sua compagnia di superpoliziotti non corrotti non sono di quelle che si vedrebbero in un "Poliziotti 3", "Carabinieri prima serie" o "Uomini di mare 24" - mi vengono in mente alcuni tipi di torture utilizzate - ma in un certo senso è riuscito ad ottenere il mio appoggio sull'uso di tali tecniche al fine di ottenere informazioni.

La mia cultura brasiliana, per ora, è limitata ad alcuni film che ho visto (uno, Carandiru, sulla "mattanza" della prigione di São Paulo, in cui 111 - dati ufficiali della polizia - prigionieri sono stati uccisi dalle forze dell'ordine a seguito di una rivolta, ci ha portato via un intero pomeriggio a forza di stoppare, chiedere chiarimenti su passaggi che non mi erano risultati chiari, ripartire) ed ai racconti di Juliana, che però non ha vissuto una realtà come quella descritta in Tropa de Elite (loro stanno a Rio e, soprattutto, "lavorano" nelle favelas). Posso però, anche se lontanamente, capire che, da un certo punto di vista ed in alcuni posti, il Brasile è un paese malato di violenza. E forse, tale violenza deve essere combattuta con strumenti adatti.

Il problema principale è che comunque i BOPE sono solo una toppa. E in quanto tale non risolveranno mai una situazione terrificante

Una delle scene senza violenza più forti del film è quella in cui uno dei protagonisti, André, un poliziotto non corrotto, discute coi compagni di università sulla violenza della polizia, sul fatto che si tratta di un'istituzione inutile e che entrano nelle favelas uccidendo a caso, talvolta anche bambini. La sua difesa, a cui non si può dar torto, è che son tutti belli e bravi a dar addosso alla polizia, ma che non si soffermano un solo secondo a pensare che acquistare droghe (marjuana, coca e quant'altro) significa finanziare i trafficanti che controllano le favelas, i quali, per spostare la droga da un posto all'altro, usano anche bambini. In un certo senso, fa intendere André, comprare droga significa mettere dei bambini in una situazione in cui possono venir uccisi e quindi, in quanto acquirente, indirettamente, essere la causa della loro morte.



2 commenti:

  1. Anche a me ha toccato molto questo film. L'anno scorso ero insieme ad una ragazza di San Paolo (conosciuta in un viaggio in Cile-Argentina) che e' venuta qui in Italia a vivere da me un mese. Ci siamo innamorati e un po' alla volta mi e' venuta l'idea matta di andare a vivere in Brasile. Se non rompevamo pochi giorni di partire sarei andato. Racconto questo perche' finche' ero insieme a lei (in totale 3/4 mesi circa) a lei e alla sua famiglia ne sono capitate di tutti i colori e naturalmente problemi con la polizia e con i trafficanti, cose vere, di cronaca, non inventate per chissa' quale motivo (lo dico perche' qualcuno ora pensera' che lei cercava di spillarmi qualcosa). Lo stato di diritto che abbiamo qui in Italia e' assolutamente un'altro mondo, specialmente al nord, dove siamo altroche' spensierati. Non e' una colpa vivere in pace e avere il permesso di lavorare e divertirsi qualche volta, ma ciononostante ogni volta che vedo film come questi mi viene un crepo al cuore a pensare a questa gente che soffre e sta male. Soprattuto i bambini, ma che fare? Da dove cominciare? Chi aiutare? Anche aiutare e' un atto di responsabilita' che richiede costanza. C'e' qualcun'altro che si sente cosi' ogni giorno della sua vita? Impotente di aiutare tutti, e soprattutto non sapendo come?

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  2. Impotente e, soprattutto, con la volontà di farlo che dura poco. Perché in fondo ci si lamenta ma si sta bene e l'egoismo in cui galleggiamo ci fa dimenticare dopo pochi minuti di ciò che esiste in posti lontano dagli occhi.

    Che tristezza. Momentanea.

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